Cambiare lavoro per migliorarsi. Ma come e quando dimettersi dal proprio? La crisi economica e le scarse prospettive nel mondo del lavoro spesso ci disincentivano dalla decisione di dimetterci e di cambiare lavoro. Eppure abbiamo bisogno di cambiare aria, o magari di realizzare il sogno di lavorare finalmente in maniera autonoma. Ma come e quando dimettersi dal proprio lavoro?
Come dimettersi dal proprio lavoro: rispettare quello che dice la legge
La scelta di dimettersi dal proprio posto di lavoro spesso è una decisione sofferta e ponderata a lungo. Le motivazioni che ci spingono a cercare un’altra attività potrebbero essere tante e vertere, ad esempio, su questioni personali, familiari o di carriera. A prescindere dal leitmotiv che potrebbe condurci alla soluzione finale, quello che bisogna fare è in primis seguire alla lettera ciò che dice la legge e, soprattutto, quanto è scritto sul contratto di lavoro firmato, per poi dedicarsi alla ricerca del lavoro dei tuoi sogni.
Posto che le ”dimissioni” comportano quasi sempre un rapporto lavorativo di subordinazione (fra datore e dipendente), come dimettersi dal proprio lavoro significa rispettare termini di preavviso e modalità con cui inoltrare la decisione di lasciare la propria posizione. I termini di preavviso per le dimissioni del lavoratore sono indicati di solito dai Contratti Collettivi Nazionali e possono variare sulla base degli anni di anzianità e dell’inquadramento contrattuale in cui si trova il dipendente. Inoltre, per sapere come dimettersi dal proprio lavoro, è necessario considerare che, a partire dal 2016, le dimissioni dovranno essere presentate in via telematica seguendo la procedura messa a disposizione dall’INPS e dal Ministero del Lavoro.
Il mancato preavviso da parte del dipendente può giustificare l’applicazione di sanzioni da parte del datore di lavoro. Una pratica diffusa negli ultimi periodi vede dipendenti furbetti che, anziché seguire la procedura delle dimissioni, adottano comportamenti scorretti per indurre il datore al licenziamento legittimo. Infatti, con il licenziamento, si avrà diritto alla disoccupazione (attualmente Naspi), che non viene invece riconosciuta in caso di dimissioni. Adottare una condotta scorretta per usufruire dei benefici del licenziamento potrebbe essere perseguibile per legge come reato di falso.
Come dimettersi dal proprio lavoro: le dimissioni per giusta causa
Dimettersi dal proprio lavoro non è semplice se le questioni che spingono il dipendente riguardano contrasti all’interno dell’azienda. Spesse volte lasciare l’attività diventa una necessità anziché un’alternativa, dettata da motivazioni personali, da un ambiente poco favorevole alla crescita professionale o da conflitti creatisi con colleghi di lavoro.
Qualsiasi sia la giustificazione alla base delle dimissioni, queste non devono essere motivate una volta che il dipendente decida di inoltrarle al proprio datore. Ed essendo un atto unilaterale non recettizio, esse sono valide a prescindere dalla volontà del datore di porre fine al rapporto di lavoro. Ma in alcuni specifici casi sono ammesse le dimissioni immediate, senza rispettare i termini di preavviso.
Le dimissioni per giusta causa sono tali quando il rapporto di lavoro fra dipendente e datore è inficiato da un qualcosa che ne rende impossibile la prosecuzione, anche temporanea. Le cause possono essere legate all’attività lavorativa o essere completamente estranee e non esiste un elenco tassativo di quali siano le motivazioni che giustificano le dimissioni immediate. La giurisprudenza ha riconosciuto la giusta causa, ad esempio, nella mancata retribuzione del lavoro, nella richiesta di comportamenti illeciti da parte del lavoratore, in caso di molestie sessuali e qualora si siano riscontrate condotte di mobbing attuate dal datore. Anche le dimissioni immediate devono avvenire telematicamente seguendo la procedura da soli o affidandosi ad un professionista.
Come dimettersi dal proprio lavoro: il patto di non concorrenza
Lavorare presso un’azienda ha come beneficio quello di acquisire conoscenze ed esperienze che arricchiscono il bagaglio professionale del dipendente. A seconda del settore di riferimento e delle mansioni svolte all’interno dell’impresa, un lavoratore può venire a conoscenza di segreti industriali, di ”know-how”, di elementi che sono alla base della competitività su cui poggia l’attività della stessa azienda.
La legge, a questo proposito, tutela le imprese prevedendo, in alcuni articoli del codice civile, una serie di comportamenti volti alla fedeltà del dipendente. Costui dovrebbe astenersi dall’attuare condotte (per conto proprio o di terzi) che siano in concorrenza con l’attività dell’imprenditore nel momento in cui presta attività lavorativa nell’azienda. Ma nel caso di dimissioni, è possibile che al dipendente venga chiesto di esimersi da svolgere attività concorrenziali per un periodo non superiore ai tre anni, che decorreranno dal momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Il patto di non concorrenza non è assoluto, nè perentorio. La legge, per tutelare a sua volta il dipendente e il proprio diritto di sfruttare le sue conoscenze per proseguire con altre attività, prevede che il patto di non concorrenza sia necessariamente scritto e controfirmato, sia dal datore che lavoratore. A quest’ultimo è riconosciuto inoltre il diritto di percepire un corrispettivo come ”ricompensa” per questo tipo di astensione.
Se non sono state previste clausole di questo genere, il lavoratore che si dimette e viene sottoposto a limitazioni circa la sua attività in qualità di prestatore, può ricorrere da un giudice per far valere i propri diritti.
Quando dimettersi dal proprio lavoro: le prospettive di carriera
Fino ad ora abbiamo trattato l’aspetto legale, quello afferente alle modalità con cui rassegnare le dimissioni e il patto di non concorrenza a tutela dell’impresa. Ma vediamo insieme quando potrebbe sembrare giusto dimettersi dal proprio lavoro. Fra le varie motivazioni, quella più gettonata sembra essere la necessità di fare carriera, aspirando a posizioni lavorative migliori rispetto a quelle attuali. Pur non essendo previsto in maniera esplicita il ”diritto di fare carriera”, esso si potrebbe rinvenire in maniera implicita ad esempio nella Costituzione, quando riconosce il diritto al lavoro e i diritti inviolabili dell’uomo come singolo e come componente della società.
Il codice civile riconosce invece il diritto del lavoratore di aspirare a mansioni superiori, prevedendo in maniera implicita il divieto di demansionamento da parte del datore. In altri termini, se non sussistono motivazioni valide (lavoratore divenuto inabile per quel tipo di attività, crisi aziendale, ecc…), è illegittima la dequalificazione del lavoratore ad attività inferiori. Eventuali cause dinnanzi al giudice del lavoro vedrebbero soccombere il datore.
In genere l’avanzamento di carriera dovrebbe essere previsto dai Contratti Collettivi Nazionali, come automatismi promozionali; in alternativa potrebbero essere applicati gli scatti di anzianità che consentono al lavoratore di percepire un aumento sullo stipendio. Ma quando sembra tutto statico o si assiste ad una progressione professionale dettata da favoritismi e non da meritocrazia, la migliore via da seguire sembrerebbe proprio quella delle dimissioni, cercando un’azienda che sia degna del nostro operato.
Quando dimettersi dal proprio lavoro: per fare esperienze
Una volta si parlava di ”lavoro di catena” riferendosi alle attività di montaggio tipiche del comparto industriale. Ne usciva un tipo di lavoro noioso, basato su gesti ripetuti continuamente nelle otto ore di lavoro prestate dal dipendente. Nonostante ancora esisti il lavoro di catena, sono sempre in numero maggiore coloro che decidono di ampliare le proprie esperienze arricchendo il curriculum vitae con diverse attività. Anche non strettamente legate al percorso di studi.
Se vi state chiedendo quando dimettersi dal proprio lavoro, una delle potenziali risposte potrebbe essere proprio questa: quando la necessità di fare esperienza ha un peso maggiore rispetto al fabbisogno economico. Che, tradotto in altri termini, significa: lavorare per sopravvivere. L’esperienza fa parte del nostro modo di vivere e ci consente di migliorarci sia come individui, sia come membri della collettività. Se diamo all’esperienza un’importanza diversa rispetto all’esigenza di avere uno stipendio a fine mese, avremo maggiori opportunità di aspirare a condizioni di vita migliore.
Con conseguenze positive sia a livello culturale che sociale. La paura dell’ignoto appartiene un po’ a tutti, e se fosse vero che ”chi lascia la via vecchia per quella nuova sa ciò che perde ma non ciò che trova”, è altrettanto vero che rimanendo fermi sulle nostre posizioni ci impedisce di fare quel salto di qualità. Molte aziende assumono sulla base dell’esperienza ed è proprio l’esperienza che ci permette di aspirare a posizioni migliori. Un manager è tale grazie all’esperienza, come lo è un primario, un dirigente scolastico, un avvocato con studio professionale in proprio, ecc…
Quando dimettersi dal proprio lavoro: se si hanno solide basi
Scegliere di abbandonare la certezza di un lavoro sicuro e stabile per catapultarsi a nuove esperienze dovrebbe essere una decisione ben ponderata ed effettuata se si hanno solide basi per poterla assumere. Ciò non significa solo avere già un’opportunità fra le mani o un’occasione irripetibile, quanto invece avere il giusto supporto che ci consentirà di costruirci il futuro.
E le basi si creano con l’esperienza e la formazione, con la cultura, con gli skills, con le capacità trasversali acquisite durante la vita. Queste basi rappresentano, in realtà, le fondamenta del nostro domani perché qualunque sia il destino, abbiamo con noi un valido sostegno che ci permetterà di vivere dignitosamente. Molti scelgono di dimettersi dal proprio lavoro quando sono sicuri di avere un’occasione che consentirà loro di non rimetterci a livello economico.
Altri reputano necessario lasciare il lavoro per dare un senso alla propria vita e ritrovare quella dignità persa in un rapporto di subordinazione fatto di servilismo per uno straccio di stipendio. A meno che le dimissioni non siano necessarie (come nel caso delle dimissioni per giusta causa), il migliore momento per dimettersi dal proprio lavoro è quello quando sappiamo di essere in grado di meritare di più. Di volere di più dalla propria professione.
E se le occasioni non vengono da sé, sarebbe buono crearsele di sana pianta sfruttando il bagaglio di esperienze che abbiamo acquisito nel corso degli anni. Solo così potremo ritrovare una nostra dimensione amando il proprio lavoro come un bene necessario alla nostra personalità.
Conclusioni
Dimettersi dal lavoro non è semplice e spesso si rivela un’esperienza sofferta ma necessaria se si desidera dare un senso alla propria vita. A prescindere dalle motivazioni, le dimissioni sono una procedura disciplinata dalla legge, rassegnate per via telematica seguendo il sistema delineato dal Ministero del Lavoro. Le dimissioni volontarie sono un diritto riconosciuto dalla legge, che ci consente di migliorare e di aspirare a qualcosa di più. Ma per fare quel salto di qualità dobbiamo essere pronti e consapevoli di ogni possibile esito che il futuro ci riserverà. Il tuo CV è pronto per affrontare il cambiamento?
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